Completamente differente da quella italiana, la tradizione giapponese per inaugurare il nuovo anno (正月, shougatsu) verte intorno alla purificazione dei luoghi fisici e della propria anima. Il fine principale è accogliere a Capodanno le divinità in un ambiente “ripulito” da qualsiasi peccato.
Gli ultimi giorni dell’anno sono dedicati alla grande pulizia della casa; addobbamento dell’altare sacro (神棚, kamidana); si preparano e si mangiano i mochi (餅), una pasta di riso morbida modellata in forma sferica o rettangolare: alcuni di questi vengono posizionati sul kamidana come offerta alle divinità.
La sera del 31 dicembre ci si reca al tempio buddhista (お寺, o’tera) che presenta una campana (釣り鐘, tsurigane): essa viene suonata per 108 volte, numero non casuale; secondo la cultura giapponese una persona accumula in totale ogni anno 108 pensieri negativi i quali vengono scacciati dalle vibrazioni prodotte dai rintocchi della campana. Effettivamente ogni volta che il “gong” è stato colpito ho percepito della leggerezza nel mio corpo, come se la mia anima abbia sospirato. La mezzanotte è molto silenziosa: ci si scambia gli auguri e si ritorna alle proprie abitazioni.
Nei primi giorni di gennaio si mangia l’osechi-ryouri (おせち料理), cibo sacro offerto dagli Dei: ognuno di questi alimenti è portatore di fortuna, oltre ad avere come significato quello di celebrare l’avvento del nuovo anno.
Durante le prime settimane dell’anno si visitano templi buddhisti e/o santuari shinto (お神社, o’jinja), con mercatini e decorazioni di Capodanno. Ho avuto la possibilità di acquistare l’omamori (お守り), talismano portafortuna: ne esistono di diverse varietà in base a che tipo di fortuna vorresti ricevere per l’intero anno. Un curiosità interessante: per l’acquisto dell’omamori non si utilizza il verbo “pagare” bensì “ricevere”, poiché il talismano è considerato un dono delle divinità. Altri portafortuna: freccia “rompi-peccati” (破魔矢, hamaya) e tavolette di legno (絵馬).






